STEFANO ARCOBELLI OSPITE DI NEWS MAGAZINE ITALIA.
A cura di Ilaria Solazzo.
INTERVISTA
Stefano Arcobelli, 59 anni, giornalista professionista dal 1986. Da 35 anni lavora alla Gazzetta dello Sport. Redattore esperto per gli sport olimpici: nuoto, di cui è capo rubrica dal 1999, sci nordico, baseball. Ha seguito, come inviato, 11 Olimpiadi, nonché i campionati mondiali ed europei di varie discipline: boxe, canottaggio, canoa, baseball, slittino, biathlon, snowboard. Ha al suo attivo anche diverse esperienze in radio e televisione e tiene conferenze in ambito universitario su argomenti di carattere sportivo. Vincitore del Premio “Fair Play” per il suo prezioso lavoro nel raccontare e promuovere gli sport invernali, è stato insignito del premo Coni-Ussi per le inchieste nel 2011. Nel 2017 è stato premiato come miglior giornalista dell’anno dalla Federazione mondiale del nuoto (Fina). Lui è il mio Super ospite di oggi per News Magazine Italia.
ILARIA – Una vita da inviato olimpico, puoi raccontarci come è cambiato il mondo olimpico con l’avvento dei social?
STEFANO – Le Olimpiadi dal 1972 sono cambiate innanzi tutto per il sistema della sicurezza: dopo quella edizione tragica, sono aumentate sempre di più le misure, i controlli. Le lunghe code per superare il metal detector ormai sono note tra chi segue i Giochi. Questo è un cambiamento pratico evidente, che spesso rende faticoso (penso solo ai fotografi con tutti i pesi delle loro macchine) e un po’ nervoso la giornata del cronista olimpico. Per quanto riguarda i social ricordo il 2008 di Pechino: si andava ad un’edizione dove i social erano in un certo senso impediti e complicati dal sistema e dal controllo cinese. Sembrava che non si potesse mandare un tweet o una foto, eppure lentamente le rigidità dei cinesi sono state aggirate. I social hanno condizionato sempre di più il lavoro dei media, in particolare ai Giochi, ma spesso hanno aiutato a capire cosa stesse succedendo ad un atleta, a coglierne le reazioni, di felicità o delusione, ad immortalare un momento a cinque cerchi su cui abbiamo sviluppato poi anche varie storie. Per quanto riguarda gli azzurri, prima di un’Olimpiade nel momento in cui si qualificano insieme alla dotazione del materiale tecnico come le divise, gli atleti firmano l’impegno a rispettare un codice di comportamento, antidoping compreso, e di responsabilità anche sulle interviste e le informazioni. È anche vero che Internet ha consentito più possibilità di espressione degli atleti, che devono stare attenti anche alle norme Cio: ad esempio non si possono pubblicizzare certi marchi dal momento in cui si entra in un’Olimpiade.
ILARIA – Attraverso i media hai raccontato 40 anni di giornalismo sportivo, vi è un ricordo speciale che ti va di condividere con noi?
STEFANO – Ce ne sarebbero tanti. A Rio nel 2016 mentre stavamo per entrare nel Media center, incrociammo Javier Sotomayor, che avevo conosciuto a Cuba. Lo blocco subito e gli chiedo un’intervista per il sito gazzetta.it.: parlammo di tutto, di Bolt e dei pugili, di basket e naturalmente salto in alto… Niente di programmato, insomma, venne fuori una divertente chiacchierata tutta in spagnolo. Serve un po’ di fortuna, ma ti devi sempre tuffare nella mischia per un articolo diverso o esclusivo che viene sempre apprezzato.
ILARIA – Sei trasversale, a parte basket, pallavolo ed atletica hai fatto di tutto un po’… parlacene.
STEFANO – L’Olimpiade serve ad esaltare la caratteristica del polivalente. Io mi sono occupato prevalentemente di calcio in gazzetta dal 1985 al 1994, poi solo di sport olimpici. Diciamo che mi sono completato, e penso che un giornalista trasversale poi si adatta più facilmente alle situazioni di un cronista monotematico come lo sono ad esempio quelli che si occupano di calcio. Ho avuto la fortuna di occuparmi di diversi sport: grazie ai Mondiali di pattinaggio a rotelle ho scoperto ad esempio l’Argentina. Chi l’avrebbe detto: eppure prima di andare a quell’evento non avevo mai coperto una disciplina come le rotelle. Tanti piccoli mondi che m hanno egualmente gratificato che scrivere dell’Inter o del Milan.
ILARIA – Hai abbandonato il calcio nel 1994. Sei fermo a Schillaci, Zeman, Batistuta… Ti chiedo tre aggettivi per ognuno di loro.
STEFANO – Appassionato, enigmatico, scatenato.
ILARIA – Nel 2000 la prima olimpiade da inviato, puoi descriverci qualche aneddoto?
STEFANO – Un incontro ravvicinato e casuale in metropolitana a Sydney nel 2000: una campionessa olimpica americana dei 100 dorso, la primatista Lynn Burke, mentre si andava alle gare: si parlava durante il viaggio e solo all’apertura delle porte mi disse, piacere sono Lynn, ho vinto a Roma nel 1960, che piacere che sei un italiano mi fai ricordare Roma. Ecco: gli incontri speciali sono tra i momenti più emozionanti ed imprevedibili.
ILARIA – So che hai fatto il militare insieme a diversi calciatori come Baldini, Incocciati, Bistazzoni… che combinavate all’epoca? E che rapporto avete oggi?
STEFANO – Ero andato a mie spese ai Mondiali 1982 in Spagna con gli amici, dopo qualche mese da quel trionfo mi ritrovai al Car di Barletta dove arrivò anche un certo Beppe Bergomi, che accettò di farsi intervistare per il quotidiano La Sicilia. Interruppe con me il famoso silenzio stampa di quella nazionale eroica. Ovviamente alle adunate incontravo i calciatori-soldati e finì col capitano del Car che mi incaricò di fare in ciclostile il giornalino dei commilitoni: fu la mia fortuna, perché quel “lavoro” in più mi evitò qualche guardia in più e mi servì, dopo il giuramento, per essere trasferito al Commiliter di Napoli a Piazza Plebiscito e non in una caserma di artiglieria sperduta del Friuli. Mi alzavo tutto le mattine per andare a prendere i giornali che sistemavo per i comandanti. Facevo la rassegna stampa, mi mandarono a coprire i Mondiali militare a Monteroni di Lecce, insomma ho fatto il giornalista anche da militare ed ebbi l’occasione – anche in questo casualmente una domenica al San Paolo (XXXX togliere di) – per un Napoli-Lecce – di conoscere il mio migliore amico: Fausto Narducci, futuro capo della redazione sport olimpici della Gazzetta.
ILARIA – Sei un uomo dalle mille risorse. Hai conosciuto tutti i più grandi dello sport di ieri e di oggi. Chi ha catturato maggiormente la tua attenzione e perchè?
STEFANO – A livello italiano non c’è dubbio Federica Pellegrini, a livello straniero Michael Phelps: i più grandi di sempre. Un personaggio del passato interessante è stato Mark Spitz, ho avuto la fortuna di intervistare Mike Tyson: lo feci parlare dalla cannabis al Papa. Il suo entourage mi guardava preoccupato quando facevo le domande impertinenti. Ma lui più pugni mi regalò sorrisi. Era in vena.
ILARIA – La più bella intervista da te realizzata fino ad oggi chi vede protagonista?
STEFANO – Ne ho fatte a centinaia, non posso dimenticare quella a Gabriella Paruzzi durante i Giochi di Torino 2006: dopo la medaglia decise di vuotare il sacco per dire la sua versione sulle polemiche interne con il direttore tecnico. Fu una confessione e mentre parlava si sfogava, piangeva.
ILARIA – Cosa ti senti di voler condividere con i miei lettori? Qualche segreto mai svelato?
STEFANO – Nessun segreto, sempre curioso e incalzante nelle domande e possibilmente registrare sempre, perché poi gli atleti scaricano sempre su chi scrive se il suo pensiero è stato equivocato.
ILARIA – Se tu potessi fare un regalo ai tuoi lettori per cosa opteresti?
STEFANO – Essere obiettivi, mai faziosi. E vorrei poter ancora raccontare tante storie umane e tecniche: lo sport ne offre a migliaia. Non so se avrò la forza o la voglia di scrivere libri di sport, ma sarebbe bello non far disperdere tanti momenti straordinari vissuti dal vivo. Il mio data base non aspetta altro di essere aperto e saccheggiato…per non essere perso. E’ faticoso scrivere, ma il giornalismo resta il mestiere più bello del mondo anche se è cambiato parecchio, non sempre in meglio. Non lo cambierei con nessun altro, se potessi rinascere.
ILARIA – Cosa bolle in pentola?
STEFANO – Continuo ad occuparmi di sport olimpici, a cominciare dal nuoto. Mi piace lo sport d’inverno, quello della fatica come fondo e biathlon, ho seguito il canottaggio che ritengo tra gli sport più completi e duri ma che danno spazio anche a direttori d’orchestra come Porzio, nella boxe ho trovato gli atleti più sinceri (Fragomeni con la sua storia drammatica è stato il top), ho giocato a baseball e quello resta anche il primo amore: sono andato a spese mie a vedere più volte le World Series negli Usa. Più passione di così…
2022 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Questa intervista è stata rilasciata telefonicamente dallo scrittore Stefano Arcobelli alla giornalista pubblicista Ilaria Solazzo. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).